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il bokken

Il bokken (bo = legno ken = spada) è parte integrante della tradizione e della storia del Giappone. Il legno fu indubbiamente uno dei primi materiali utilizzati dall’uomo per costruire un arma, in Giappone fu grazie al diffondersi delle scuole e degli stili di combattimento del kenjitsu ryu che il bokken assunse un ruolo di grande importanza, usare spade vere negli allenamenti era molto pericoloso e causava spesso la morte o gravi ferite quindi cominciarono ad usare una spada di legno accuratamente modellata e sagomata, per conferirle la somiglianza e la sensazione di una spada vera. Alcune fonti attribuiscono la nascita e la scoperta del Bokken al maestro Tsukahara Bokuden dopo un memorabile duello con Miyamoto Musashi, teoria un po’ leggendaria e poco logica dal momento che appare irrealistico credere che in una paese con una tradizione marziale già millenaria all’epoca di Tsukahara cioè a cavallo del 1500 nessuno avesse ancora pensato di allenarsi con un bastone di legno robusto che riproducesse la forma, l’equilibrio ed il peso di una spada, quello in epoca antica probbabilmente non era il bokken che siamo abituati a vedere oggi, le sue dimensioni assomigliavano di piu al Tachi la spada lunga usata a cavallo di conseguenza

i ken di quel periodo si aggiravano sui 120/130 cm come quello usato da Miyamoto Musashi con il quale vinse diversi duelli contro spade vere. Via via che i vari ryu creavano i loro metodi e stili, i bokken subirono variazioni nella forma e nella fabbricazione diventando diversi da scuola a scuola.
La storia del bokken fu profondamente influenzata dalle leggi dello Shogunato. I rappresentanti delle varie scuole di Kenjitsu verificavano l’efficacia delle loro tecniche in Shinken Shobu (duelli con le spade vere) ciò, ovviamente, comportava la morte del perdente o in alcuni casi, di entrambi i contendenti, furono emanati quindi alcuni editti che proibivano lo Shinken Shobu. Il bokken fu il sostituto naturale nei duelli e, sebbene non tagliasse comunque provocava gravi danni e in alcuni casi anche la morte, quindi succesivamente anche questa arma fu vietata riservandola esclusivamente ai Kata e introducendo lo Shinai per i duelli (spada formata da strisce di bambù tenute insieme da legacci di cuoio) quella che tuttora viene usata nel Kendo.

Il Jo

La storia del JO si perde nella leggenda, in effetti è difficile dire quando sia stata inventata quest’arma, un semplice bastone della lunghezza di un metro e venti e di circa tre cm di diametro. Esistono diverse teorie riguardo l’origine del JO. Molti credono che si sia sviluppato come naturale variante del BO, un lungo bastone della lunghezza di m. 1,80. La maggior parte degli studiosi di storia delle armi ritiene che il BO giapponese derivi direttamente da quello cinese, l’unica differenza tra i due modelli è che quello giapponese ha le estremità smussate, mentre quello cinese no. Relativamente semplice da costruire e dai costi limitati (di norma si usa legno di nespolo o di quercia) il suo successo fu enorme nell’ambito delle arti marziali tanto che è stato adottato da 316 ryu (scuole riconosciute). I primi nella storia ad usare il BO furono i cosiddetti Yamabushi, o sacerdoti guerrieri, dell’epoca Kamakura (1185 – 1333). L’influenza cinese fu enorme, dal momento che i sacerdoti giapponesi spesso studiavano per lunghi anni in Cina e che quindi oltre agli studi filosofici apprendevano anche le tecniche delle arti marziali,
che riportavano in patria, una volta ritornati. Non passò molto però che anche il Giappone sviluppò proprie scuole a partire dalla Tenshin Shoden Katori Shinto Ryu, fondata da Izasa Ineao (1387 – 1488), la prima scuola ufficiale dell’uso del BO di cui si abbia menzione.
E’ naturale che da un’arma così lunga, anche se molto efficace, si sia arrivati nel tempo anche allo sviluppo di una più maneggevole, e qui entra in scena la leggenda. Verso la fine del XVI secolo viveva in Giappone un famoso samurai di nome Muso Gonnosuke. Come tutti i guerrieri dell’epoca anche lui aveva studiato vari stili di arti marziali, ma la sua arma preferita rimaneva il BO. Aveva fama di prode ed invitto combattente, fino a quando non incontrò colui che viene comunemente considerato il più grande spadaccino giapponese di tutti i tempi, ossia Myamoto Musashi. Nel duello che ne seguì Muso usò il bo e fu sconfitto

dal metodo di Musashi, la “Nito Ryu”, che consisteva nel combattere non con una sola spada come era tradizione, bensì con due (sia la Katana che la Wakizashi). Musashi avrebbe potuto uccidere Gonnosuke, ma rispettando la sua abilità, lo risparmiò. I due si separarono con rispetto reciproco. Gli anni passarono ma Muso trovava difficile convivere con la cocente sconfitta. Frustrato abbandonò la sua scuola e si ritirò in eremitaggio sul monte Homan, sottoponendosi ad una severa disciplina atletica e cercando l’ispirazione divina. La leggenda racconta che ricevette una guida divina che gli inviò il messaggio di “essere cosciente con gli organi di un tronco”.
Muso interpretò la frase nel senso che avrebbe dovuto creare una versione più corta de bo. Foggiò una versione di 1,20 m. di lunghezza con un diametro più piccolo, circa 3 cm. Lo costruì con il legno di quercia bianca, della qualità più resistente che potè trovare e chiamò l’arma JO.
Creò un Kata di 12 movimenti base ed aggiunse atemi (colpi a mani nude sui punti vitali dell’avversario) quando si arrivava al corpo a corpo. La nuova arma permetteva a Muso di colpire l’avversario quando il combattimento era a stretto contatto, cosa che il bo più lungo non permetteva. La sua lunghezza, superiore a quella di una Satana, gli permetteva altresì di combattere senza problemi anche nella media distanza senza per altro nulla perdere in maneggevolezza. La leggenda continua narrando di uno scontro di rivincita con Musashi, che vide Gonnosuhe vincitore sul mai sconfitto avversario, al quale risparmiò a sua volta la vita come precedentemente era stato fatto con lui. Successivamente fondò una sua scuola, la Shindo Muso Ryu (tutt’ora esistente) dalla quale, vista la maneggevolezza, la facilità di realizzazione e l’indubbia efficacia dell’arma se ne svilupparono parecchie altre, molte delle quali arrivate sino a noi.

ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL JO

Le tecniche di Jo sono nate per il combattimento a stretto contatto, infatti quest’arma può stringere, catturare e tenere un avversario, può costringere, chiudere una leva e sconfiggere con tremenda efficacia. Però, per poter sviluppare le tecniche in modo corretto e soprattutto efficace, l’allievo deve utilizzarlo in armonia con le leggi della natura. Questo vuol dire stare calmi, raccogliere la mente, far lavorare la mente il ed il corpo all’unisono, in totale armonia con tutto ciò che ci circonda. Le tecniche di JO non solo si rifanno alla natura, ma diventano parte di essa. Per esempio quando si eseguono i movimenti tenkan, il Jo è come un vento vorticoso che devia tutto ciò che lo circonda (i movimenti tenkan sono i movimenti circolare con i quali viene dissipata l’energia dell’avversario, nel momento in cui questi attacca). Le tecniche di Jo applicate nell’Aikido, anche nella sfera della difesa personale, seguono sempre i principi dell’armonia. In un attacco la filosofia dell’Aikido indica l’uso del jo non per bloccarlo, ma per controllarlo e guidarlo. Il Jo si usa per muoversi con l’attacco, per superarlo e guidare l’attaccante usando grandi o piccoli cerchi per controllare e sconfiggere l’avversario. Gli elementi fondamentali che governano le tecniche di JO possono ravvisarsi nei seguenti principi.
Mai Ai: è la tecnica che consiste nel prendere la giusta distanza dal proprio avversario affinché le nostre tecniche abbiamo il massimo dell’efficacia. Questa azione è necessaria per sfuggire, bloccare e contrattaccare. Se si è vicini all’avversario, è facile attaccare ma è difficile difendersi.
Se si è troppo distanti è vero esatto contrario, facilità di difesa ma difficoltà nell’attacco. La distanza ottimale perchè il Jo sia efficace dovrebbe essere di circa 1,50 m. Kamae (posizione): l’Aikido non ha una forte posizione come ad esempio il Karate, Il principio che sta dietro alla posizione dell’Aikido è che occorre essere rilassati ed in una posizione stabile. Vi sono due posizioni fondamentali di partenza, Omote heisoku dachi, nella quale il Jo viene tenuto di lato e la Homote no kamae nella quale si assume una posizione dei piedi chiamata Reinoji dachi, detta anche più comunemente Hanmi (posizione ad L) e si tiene il Jo di fronte all’avversario. Ai (armonia): il Jo dovrebbe essere usato in armonia con l’attacco che si avvicina, per essere in tono con l’ambiente sia fisicamente che mentalmente. All’inizio dello studio l’accento viene posto sull’armonia fisica con l’avversario. L’obiettivo è di muoversi o controllare il proprio avversario in modo da poterlo bloccare nel momento in cui minaccia qualsiasi movimento o attacco. Alla fine si diventa così in sintonia con la mente di un avversario che è sufficiente che egli pensi ad un attacco per farvi prendere il controllo della situazione.

Nel fare ciò si inserisce anche un altro concetto quello del JU (cedevole). Questa parola strettamente connaturata con il concetto AI sta ad indicare la mancanza di contrasto con la forza attaccante. In Aikido questo si ottiene spostandosi nella direzione dell’attacco. L’idea è quella di sfruttare la forza e l’energia dell’avversario contro di lui. Inoltre questo principio si riferisce anche al bloccaggio, in modo tale che difficilmente è necessaria una grande forza per controllarlo. Ki (spirito/energia): Ki è la forza di energia concentrata che si trova al centro del proprio essere (Hara, situato 3-4 cm. sotto l’ombelico). Questa forza interiore (se si è imparato ad usarla) può essere spinta in fuori, conferendo al praticante una grande forza e potenza. Tenkan (rotazione): può essere tradotto anche come “il movimento de vento vorticoso” che rende molto bene l’idea, o “marui” (azione circolare). Le tecniche di Jo sono basate su movimenti circolari naturali, vengono studiati per dirigere la forza d’attacco o il movimento nella direzione naturale della forza che si sta avvicinando in un movimento circolare. Questi movimenti vengono modellati prendendo ispirazione dal vento. Quando qualcosa viaggia in direzione circolare è molto più potente di un movimento dritto. Come gli uragani, i tornado ed i venti vorticosi sono alcune delle
forme naturali più impressionanti, alcuni movimenti di Jo vengono eseguiti tirando all’insù (come un vortice), mentre altri scaricano all’infuori (come un tornado). Taisabaki (movimenti del corpo): il Taisabaki è la teoria del movimento centrale sulla quale sono basate le tecniche di Jo. Viene usata nelle fughe, difese e contrattacchi. Lo si può vedere molto bene nell’Happo Tsuki (gli otto colpi di Jo), se tutti i punti del taisabaki fossero combinati, questi piccoli movimenti formerebbero un cerchio completo. Quindi senza considerare la direzione dalla quale proviene un attacco può essere eseguito un contrattacco evasivo. Questi sono alcuni dei principi che rendono il Jo, un semplicissimo bastone di legno, una delle armi più complesse delle arti marziali. Complessa nella teoria, ma relativamente semplice nell’esecuzione.
Poiché la spada era la prima arma dei samurai, il Jo non ha mai ricevuto l’attenzione che meritava sebbene avesse una storia ed una tradizione plurisecolare alle spalle. Solo negli ultimi decenni, vista l’impossibilità di girare con una spada è ritornato di prepotente attualità anche nella semplice difesa personale, visto che le tecniche a lui legate possono essere sviluppate con un ombrello o un semplice manico di scopa, rendendole armi di difesa molto valide.