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La sorpresa

Ho cominciato a praticare Aikido per caso, mi ci ha portato la mia compagna con la quale faccio molte cose insieme, una di queste cose è stata la pratica di un’arte marziale.
Adesso, dopo tanti anni mi sembra che sia stata un’intuizione e non un caso. Spesso faccio fatica distinguere intuizioni e casualità, forse perchè quello che mi interessa di più è il senso che le attività, che svolgo, hanno per me.
Io sono un attore, di teatro, di quelli che parlano, di quelli che a volte parlano tanto, ma nonostante ciò mi sono accorto, facendo i conti, che ho trascorso più tempo a cercare nel corpo la mia parola piuttosto che nella vocalità. Ho frequentato molti stage di danza lottando disperatamente in un campo fuori-casa, che purtroppo non sentivo mio, nella certezza che avrei creato consapevolezza nella mia arte attraverso i gesti.
L’Aikido si inserisce in questa ricerca.
L’Aikido per me è una disciplina artistica piuttosto che un’arte marziale, la differenza può sembrare minima ma non lo è. Senza tralasciare l’aspetto marziale, la lotta fra umani, l’aspetto preminente che trovo nell’aikido è l’educazione del corpo e del proprio sé. L’educazione a stare in contatto con le proprie sensazioni e col proprio corpo interno ed esterno ritengo che attenga più ad una disciplina che ad una marzialità.
In questa disciplina io ho sperimentato le mie difficoltà, le varie asticelle che si spostano durante la vita. La capacità di concentrazione, di rimanere in una condizione scelta, la consapevolezza dell’ambiente circostante e delle relazioni con gli altri umani che agiscono vicino a te fanno parte di questo percorso di sperimentazione.
Col tempo ho creato un allenamento (training) per l’attore basato su alcune tecniche dell’Aikido, sull’ uso dei bastoni, ma soprattutto basato sull’esperienza di quella sperimentazione di cui parlavo prima. É nato come un esigenza personale poi ho cominciato a provarlo con un gruppo di attori. La ricerca dell’ awase per chi fa teatro è fondamentale, rientra in quelle percezioni che sul palco fanno la differenza.
Ma non è tutto qui, la pratica infrasettimanale ha anche un grosso potere rigenerante, svolge su di me un effetto piscina, o meglio mare, mi tuffo in quell’acqua e cambia la qualità del pensiero, l’attività sensoriale aumenta e non ho più tempo di trascinarmi dietro le varie calamità quotidiane. Questo non significa dimenticare tutto, significa cambiare posizione.
Dopo quasi dodici anni di pratica (che non sono tanti ma neanche pochi) continuo ad avere la sensazione che strattonarsi con altri nel dojo possa essere una strada. Toccare con mano la propria incapacità nei vari gradi di esecuzione delle tecniche non scalfisce il valore del tentativo, del mettersi in gioco, della creazione. Sì, io penso che ci sia anche una parte di creazione quando tori e uke lavorano insieme, una parte spesso inconsapevole ma presente.
Mi capita a volte di fare lezione, come istruttore in sostituzione, e debbo dire che questo mi arricchisce tutte le volte. Lo so che può sembrare retorico, ma fidatevi non lo è, perchè fare lezione è una ulteriore possibilità di verificare qualcosa di sé. Come è facile comprendere, dirigere un allenamento presuppone un lavoro quantomeno su un doppio livello, su di sé e per gli altri. Il mio Aikido diventa evidente, nel bene e nel male, di fronte alla classe. Quello che so, quello che sono, in quel momento, è lì sul tatami. Senza farla tanto lunga mi sembra una bella regola di vita.
Per finire vorrei accennare alle sorprese, sì perchè durante la pratica in questi anni ho trovato disseminati sul percorso degli uke che hanno saputo sorprendermi, vuoi per la tecnica, vuoi per l’energia, ma anche per la curiosità, il coraggio, la consapevolezza, ed anche quando non si è trattato di grandi exploit il gusto della sorpresa non è mai mancato perchè il tuo Aikido parla di te.